Polimorfismi: cosa sono e come influiscono nello sport

Rappresentazione stilizzata di una doppia elica di DNA blu su sfondo astratto con rete molecolare o neuronale, con scritta "POLIMORFISMI" e logo scienzemotorie.com
09 gennaio 2019

Una combinazione delle parole greche poly (che significa multiplo) e morph (che significa forma). Polimorfismo è un termine usato in genetica per descrivere molteplici forme di un singolo gene che esiste in un individuo o in un gruppo di individui. I polimorfismi ci permettono di comprendere alcune variazioni del fenotipo, ma non solo. Anche alcune predisposizioni al talento sportivo.

Polimorfismo genetico

Dove il monomorfismo significa avere solo una forma e un dimorfismo significa che ci sono solo due forme, il termine polimorfismo è un termine molto specifico in genetica e biologia, relativo alle molteplici forme che può avere un gene. 

Il polimorfismo si riferisce a forme che sono

  • discontinue (hanno variazione discreta),
  • bimodali (che ha o coinvolge due modalità) o
  • polimodali (modalità multiple).

Ad esempio, i lobi dell’orecchio sono collegati o non lo sono. Si tratta di una situazione o di un’altra e non di un numero che può essere diverso come l’altezza.

Il polimorfismo era originariamente usato per descrivere forme visibili di geni. Il termine è ora usato per includere modalità criptiche come i tipi di sangue, che richiedono un esame del sangue per decifrarlo. Inoltre, il termine è talvolta usato in modo errato per descrivere razze o varianti geografiche visibilmente diverse. Il polimorfismo si riferisce al fatto che le molteplici forme di un singolo gene devono occupare lo stesso habitat allo stesso tempo (che esclude metamorfosi geografiche, di razza o stagionali.)

Il polimorfismo genetico si riferisce alla presenza di due o più fenotipi geneticamente determinati in una certa popolazione (in proporzioni che la più rara delle caratteristiche non può essere mantenuta solo ricorrendo a una mutazione). Agevola la diversità e persiste per molte generazioni perché nessuna singola forma ha un vantaggio o uno svantaggio rispetto alle altre in termini di selezione naturale. 


Mutazione

Le mutazioni da sole non si classificano come polimorfismi. Un polimorfismo è una variazione della sequenza del DNA che è comune nella popolazione. Una mutazione, d’altra parte, è qualsiasi cambiamento in una sequenza di DNA lontano dal normale (implicando che esiste un allele normale che attraversa la popolazione e che la mutazione modifica questo normale allele in una variante rara e anormale).

Nei polimorfismi, ci sono due o più alternative ugualmente accettabili e per essere classificati come un polimorfismo, l’allele meno comune deve avere una frequenza dell’1 percento o più nella popolazione. Se la frequenza è inferiore a questo, l’allele è considerato una mutazione.

Enzimi

Studi di sequenziamento genico, come quello fatto per il progetto del genoma umano. Hanno rivelato che a livello del nucleotide, il gene che codifica per una proteina specifica può avere una serie di differenze in sequenza.

Queste differenze non alterano il prodotto in generale in modo significativo per produrre una proteina diversa ma possono avere un effetto di specificità del substrato e attività specifica (per gli enzimi), efficienze leganti (per fattori di trascrizione, proteine ​​di membrana, ecc.) o altre caratteristiche e funzioni. 

Ad esempio, all’interno della razza umana, ci sono molti diversi polimorfismi del CYP 1A1, uno dei molti enzimi del fegato del citocromo P450. Sebbene gli enzimi siano fondamentalmente la stessa sequenza e struttura, i polimorfismi in questo enzima possono influenzare il modo in cui gli esseri umani metabolizzano i farmaci. 

Polimorfismi del CYP 1A1 nell’uomo, dove nell’esone 7 l’aminoacido Isoleucina è sostituito da Valina, è stato collegato al cancro del polmone legato al fumo. 

Esiste un gene che è in grado di influenzare la distribuzione delle fibre muscolari l’ACE, l’enzima Angiotensin Converting Enzyme. Il 90% circa di questo enzima è presente nei tessuti, mentre per un 10% nel plasma.

Quando parliamo di distribuzione tissutale di questo enzima intendiamo una distribuzione in due tessuti:

  • endotelio renale;
  • endotelio polmonare.

Il successo dei velocisti giamaicani è stato spiegato in diversi modi ma c’è chi l’ha attribuito a fattori genetici. Individuando nell’enzima convertitore dell’angiotensina (ACE) il gene responsabile di una grande velocità di corsa. Una particolare variante di questo enzima – conosciuta come “allele D” – garantisce una migliore capacità del cuore di pompare sangue con molto ossigeno ai muscoli. Nelle persone africane l’allele D è generalmente più presente rispetto a quelle europee, ma nei giamaicani è ancora più elevato.

Coloro che posseggono espressioni genetiche dell’ACE in questo senso mostrano con frequenza alcune risposte metaboliche interessanti.

Tra questi:

  • Una miglior capacità ossidativa degli acidi grassi;
  • Aumento bradichinina con minor ipertrofia cardiaca, tipica di coloro che invece praticano sport di potenza.
  • Un miglior VO2 max;
  • Un aumento dell’ipertrofia cardiaca venticolare sinistra.

Sport

Una vasta letteratura è stata prodotta nel tentativo di individuare e descrivere quali fossero nelle varie discipline sportive le caratteristiche morfologiche, antropometriche, fisiologiche e funzionali degli atleti che hanno raggiunto alti livelli nelle gare agonistiche.

Cercare gli effetti di una variante genetica individuale su un carattere complesso e influenzabile dall’ambiente, come la performance sportiva, è estremamente complesso. Anche quando il carattere può essere ridotto a delle variabili quantificabili, come la VO2max, isolare la componente genetica individuale è un’ardua impresa.

Negli ultimi anni la ricerca si è avviata verso l’analisi dei legami esistenti tra fisiologia, biochimica e genetica nel campo dell’esercizio fisico indagando sull’ereditarietà di vari tratti della performance. Sulle basi genetiche e molecolari dell’adattamento all’esercizio e dei differenti indicatori della performance sportiva.

Il numero di geni potenzialmente correlati con la performance sportivi sta aumentando ogni anno, attualmente comprende 140 geni autosomici, e 4 geni localizzati sul cromosoma X. Inoltre sono stati identificati 16 geni mitocondriali le cui varianti sembrano influenzare in modo rilevante la performance sportiva.

E’ importante dire che gli atleti che hanno raggiunto alti livelli agonistici,

presentano sempre una combinazione di diversi genotipi favorevoli per la performance atletica. La performance può essere considerata un tratto poligenico (cioè controllato da più geni) e un singolo polimorfismo non può essere responsabile del rendimento sportivo, ma può incrementare o diminuire le capacità fisiche.

I rapporti tra componenti genetiche e performance fisica e sportiva costituiscono ancora un campo aperto di indagine, nonostante in questi ultimi anni la produzione scientifica sia aumentata notevolmente.

E’ iniziata l’era dei test genetici per individuare le caratteristiche dell’atleta ideale: sappiamo che alcuni polimorfismi possono determinare una maggior forza muscolare, altri una grande resistenza. Ne sono state individuate diverse decine che possono produrre caratteristiche fisiche o atletiche importanti“. Parola di Carmine Orlandi, nutrizionista e consigliere nazionale Sinseb (Società italiana di nutrizione, sport e benessere).

I test genetici – ricorda infatti Orlandi – indicano una probabilità, perché resta fondamentale l’interazione con l’ambiente. Dunque vanno maneggiati con cura. Tenendo presente che aiutano a inquadrare l’atleta e le sue caratteristiche“. Ma se si tratta di un giovane che non ha il polimorfismo del campione, allora che si fa? “E’ sempre bene ricordare il caso di Pietro Mennea, che con un fisico come il suo, ma una volontà fortissima e allenamenti maniacali, ha ottenuto risultati indimenticabili“.

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