Volfango Rizzi

PERCORSO:
Volfango Rizzi ha 45 anni ed è nel mondo degli scacchi da moltissimo tempo. La sua passione per gli scacchi nasce già durante gli anni delle elementari passando attraverso il gioco della dama. All’età di 19 anni, insieme ad alcuni amici, ha fondato il suo primo circolo scacchistico, che ancora esiste, e del quale è stato presidente per quasi tutti i primi 3 anni della sua esistenza.

Terminato il servizio di leva militare, Volfango è andato in Gran Bretagna, prima a Londra e poi in Galles, per imparare l’inglese e fare un’esperienza di vita diversa e alla fine però ci è rimasto per diversi anni, circa 17.

Volfango è stato soprattutto un istruttore, infatti ha insegnato gli scacchi un po’ ovunque, in Lombardia, Inghilterra, Galles, Spagna e Toscana; inoltre, è stato anche arbitro regionale, revisore dei conti del Comitato Regionale Lombardo e organizzatore di tornei, oltre che giocatore e aver collaborato con le tre principali riviste italiane degli anni 90.

Giacomo Catalani:
“Qual è la realtà degli scacchi in Italia e nel mondo?”

Volfango Rizzi:
“La federazione si attesta su circa tredicimila iscritti, ma il numero di appassionati che gioca con regolarità è sicuramente molto più ampio. Nel mondo invece i giocatori attivi sono circa un miliardo e mezzo con numeri sempre crescenti soprattutto nel mondo online che sta aiutando molto nella diffusione di questo sport”

Giacomo Catalani:
“Qual è lo stereotipo del giocatore di scacchi?”

Volfango Rizzi:
“Personalmente ritengo che il binomio scacchi e intelligenza, comune nell’idea di molti, scacchisti e non, non sia così azzeccato. Credo che gli scacchi possano essere invece paragonati a una lingua o addirittura alla musica. I campioni sono in grado di affinare la comprensione di questa lingua e utilizzarla a loro piacimento grazie alla sua incredibile malleabilità.”

Giacomo Catalani:
“Dal punto di vista comportamentale con chi sei abituato a confrontarti?”

Volfango Rizzi:
“I giocatori di alto livello oggi si confrontano quasi sempre utilizzando uno stile che viene chiamato “universale”, basato sul comportamento delle macchine, dei computer. Uno scacchista di alto livello utilizza grandi database che analizzano le posizioni e utilizzano queste conoscenze per affrontare le partite. Per questo motivo una delle doti principali di un grande scacchista è certamente la memoria.

In questo senso ci sono alcune varianti, chiamate “scacchi eterodossi”, che vanno alla ricerca di soluzioni per diminuire l’importanza di queste grandi conoscenze. Per esempio si può inserire dei pezzi nuovi come “il cammello” che può fare mosse combinate oppure si può cambiare obiettivo finale del gioco, per esempio nel cosiddetto “magna magna” si deve cercare di farsi mangiare tutti i pezzi cercando di obbligare l’avversario a compiere mosse in quel senso.”

Giacomo Catalani:
“Un tempo gli scacchi erano un gioco per persone di una certa età, oggi è uno sport per giovani, come mai?”

Volfango Rizzi:
“L’avvento della tecnologia ha fatto la differenza anche negli scacchi. Se un tempo per apprendere le teorie dovevi leggere libri, applicarti sulla scacchiera e poi aspettare che uscissero i nuovi testi con le nuove teorie che stavano utilizzando i più grandi, oggi, attraverso gli strumenti digitali, puoi conoscere, sperimentare e approfondire qualunque teoria sia vecchia che nuova in tempi esponenzialmente minori.

A questo si aggiunge il fatto che oggi c’è la possibilità di utilizzare i database in maniera quasi scientifica e quindi la freschezza mentale e la capacità di calcolo di una mente giovane è senza dubbio un vantaggio competitivo enorme. Non a caso in questo momento il campione del mondo è un ragazzo di 25 anni norvegese, Magnus Carlsen.

Considera che in una partita importante devi stare concentrato anche 7 ore consecutive, senza mai poter calare la soglia di attenzione. Il cervello è l’organo che consuma più energia, tenerlo sotto sforzo intenso per tutto questo tempo richiede una freschezza che non può che dare un vantaggio enorme ai giovani, rispetto a persone di 50 o 60 anni.”

Giacomo Catalani:
“Com’è nato il progetto degli scacchi pugilato??”

Volfango Rizzi:
“Sono tornato in Italia dall’Inghilterra proprio per portare questo sport di cui mi ero appassionato. Chi lo ha inventato è Iepe Ruping, un olandese che oggi vive a Berlino. Lo scacchipugilato è uno sport che unisce due discipline solo apparentemente distanti, ma entrambi di lotta e lotta dura: la prima internazionalmente riconosciuta come un eminente gioco di strategia e tattica e l’altra come una delle due principali arti marziali occidentali.

Il connubio di queste due discipline ha dato come risultato lo scacchipugilato, che è quindi uno sport combinato la cui idea è ricercare l’atleta “simultaneamente più intelligente e più forte”. Nato ufficialmente nel 2003, oggi lo scacchi pugilato è praticato in moltissimi paesi del mondo e si sta ampliando sempre più.”

Giacomo Catalani:
“Come si svolge un incontro di scacchi pugilato?”

Volfango Rizzi:
“In questo sport gli atleti, perché di veri atleti si tratta, si affrontano di solito su una distanza di 11 riprese; si inizia con un round di scacchi (normalmente di 3 minuti) e si continua con uno di pugilato (di 3 minuti) e così via; si vince o per scacco matto o per KO (tempi e numero di riprese possono essere ridotti). Ovviamente, come negli scacchi, e anche nel pugilato, un atleta può decidere di abbandonare, sulla scacchiera o nei guantoni, in qualsiasi momento; in aggiunta vi è l’orologio di scacchi, con ciascun atleta che ha a disposizione 9 minuti per terminare la partita (o meno minuti per round se su un numero diverso dalle 11 riprese) e, pertanto, se il suo tempo termina tale chessboxer perderà l’incontro per il tempo.”

 

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