Dolore: definizione, classificazione e aspetti psicologici

Dolore: definizione, classificazione e aspetti psicologici
17 maggio 2016

Il dolore è una sensazione complessa risultante da una componente percettiva (nocicezione) legata alla trasmissione dello stimolo doloroso al cervello e da una componente legata all’esperienza che dipende esclusivamente dal soggetto, ovvero dal modo in cui percepisce e sperimenta la sensazione del dolore (la soglia del dolore, cioè il limite oltrepassato il quale una sensazione diventa dolore, è soggettiva).

Nel 1979 l’associazione Internazionale per lo studio del dolore (International Association for the Study of Pain, IASP), ha descritto il dolore come “un’esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il dolore come “una sensazione spiacevole e un’esperienza emotiva dotata di un tono affettivo negativo associata a un danno tessutale potenziale o reale e, comunque, descritta in rapporto a tale danno“.

Si capisce da queste definizioni la natura “soggettiva” del dolore che racchiude sia la componente puramente sensoriale-discriminativa (ad es. da stimolo nocicettivo, quindi sintomatologica) sia la componente affettivo-emozionale (cioè la sua tonalità: spiacevole, penosa, difficilmente sopportabile ecc..) che quella cognitivo-comportamentale (rappresenta lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione spiacevole e il comportamento che genera nella persona) (Rigotti, 2006).

La prima classificazione distingue il dolore in acuto e cronico

  • Il dolore acuto è conseguenza di un trauma (es. frattura ossea, parto) o di un intervento chirurgico, ha un esordio definito nel tempo e si associa ad iperreattività del sistema nervoso autonomo. L’entità del dolore acuto è correlata alla gravità del danno tissutale o al trauma (Mercadante, 2005).
  • Il dolore è definito cronico quando ha una durata superiore ai tre mesi e comporta cambiamenti nella vita propria e di relazione del paziente (Becker et al., 1997; Gureje et al., 1998).

Quando il dolore da acuto si trasforma in cronico perde la sua originaria funzione di allarme impattando negativamente sul benessere e sulla qualità di vita della persona che ne è affetta.
È possibile individuare diversi fattori di rischio e fattori preventivi nella trasformazione del dolore da acuto a cronico. Per parlare di prevenzione è quindi importante identificare questi fattori ed intervenire nel potenziamento di quelli protettivi e nella diminuzione di quelli di rischio.

Dolore specifico

Il dolore specifico, a sua volta, si divide in:

  • Dolore nocicettivo: Il dolore che deriva da un danno reale o potenziale di tessuto non-neurale, dovuto all’attivazione dei nocicettori. Questo termine è stato creato per differenziare il dolore neuropatico. Il termine è usato per descrivere il dolore che si verifica con un sistema nervoso somatosensoriale normalmente funzionante in contrasto con la funzione alterata di questo sistema come abbiamo nel dolore neuropatico. (International Association for the Study of Pain ( (IASP) www.iasp-pain.org/Taxonomy )

  • Dolore neuropatico: Il dolore causato da una lesione o malattia del sistema nervoso somatosensoriale. Il dolore neuropatico è una descrizione clinica (e non una diagnosi) che richiede una lesione dimostrabile o di una malattia che soddisfa i criteri diagnostici stabiliti neurologici. Il termine “lesione” è comunemente usato quando le indagini diagnostiche per immagini (ad esempio, neurofisiologia, biopsie, test di laboratorio) rivelano una anomalia o quando c’è un trauma evidente. Il termine “malattia” viene applicato quando la causa della lesione è nota (ad esempio ictus, vasculite, diabete mellito, anomalia genetica). “Somatosensoriale” si riferisce alle informazioni derivanti dal corpo (inclusi gli organi viscerali), piuttosto che alle informazioni derivanti dal mondo esterno (per esempio vista, udito, l’olfatto). La presenza di sintomi o segni (ad esempio dolore evocato al tatto) da sola non giustifica l’uso del termine “neuropatico”. Alcune entità di malattia, come la nevralgia del trigemino, sono attualmente definite per la loro presentazione clinica, piuttosto che da test diagnostici obiettivi mentre altre, come la nevralgia posterpetica, sono normalmente basati sulla storia clinica del soggetto. E’ comune, nell’ambito delle indagini sul dolore neuropatico, che i test diagnostici possano produrre dati non conclusivi o addirittura incoerenti. In tali casi, il giudizio clinico è necessario per semplificare l’insieme dei risultati in un paziente riguardo ad una presunta diagnosi. ( (IASP) www.iasp-pain.org/Taxonomy).

Dolore aspecifico

Il dolore aspecifico è il dolore da sensibilizzazione: maggiore reattività dei neuroni nocicettivi ai loro normali inputs, e/o reclutamento di una risposta nocicettiva a inputs normalmente sottosoglia.

La sensibilizzazione può includere un calo della soglia ed un aumento della risposta soprasoglia. Possono anche verificarsi scariche spontanee e aumento di dimensioni del campo recettivo. Questo è un termine neurofisiologico che può essere applicata solo quando sia l’ingresso (input) che l’uscita (output) del sistema neurale in studio sono noti, ad esempio, controllando lo stimolo e misurando l’evento neurale. Clinicamente, la sensibilizzazione si può dedurre solo indirettamente da fenomeni come l’iperalgesia o l’allodinia

La sensibilizzazione a sua volta è divisa in:

  • Sensibilizzazione centrale: aumentata reattività dei neuroni nocicettivi nel sistema nervoso centrale agli inputs a loro afferenti normali o soprasoglia (dovuta a una disfunzione dei sistemi di controllo endogeni del dolore). I neuroni periferici funzionano normalmente; i cambiamenti nella funzione si verificano nei soli neuroni centrali.

  • Sensibilizzazione periferica: ridotta soglia e maggiore reattività alla stimolazione dei campi recettivi dei neuroni nocicettivi nella periferia 

Perché è importante considerare anche l’aspetto soggettivo e psicologico dell’esperienza dolorosa?

L’essere umano ha una mente, quindi possiede la capacità di pensare e di attribuire valore e significato alle cose che gli accadono. Questa capacità influenza il modo in cui ci comportiamo e quello in cui proviamo emozioni. Così accade anche nel dolore, dove alcuni modi disfunzionali di pensare possono rappresentare fattori di mantenimento del dolore e contribuire al suo perpetuarsi. Se sentiamo un rumore che valutiamo come sospetto proviamo paura e immediatamente il Sistema Nervoso Simpatico (SNS) prepara il corpo a rispondere alla situazione. Quell’emozione mediata cognitivamente dalla percezione di pericolo porta, quindi, anche a delle modificazioni fisiche e fisiologiche. Non funziona diversamente per il dolore dove ogni individuo interpreta lo stimolo doloroso secondo il proprio sistema di credenze, influenzandone la percezione e l’intensità.

Ad esempio, esiste una relazione circolare tra paura e dolore: la paura del dolore è spesso associata a pensiero catastrofico che può tradursi in comportamenti di evitamento del movimento e dell’attività fisica, con la conseguenza di ottenere risultato opposto a quello sperato e ovvero dolore maggiore e persistente.

Il pensiero catastrofico è un particolare tipo di bias cognitivo che si riferisce alla tendenza a valutare gli eventi futuri in modo negativo e non realistico. Questo tipo di valutazione è stata studiata anche in relazione al dolore e molti studi ne dimostrano la forte associazione con una maggiore percezione del dolore, oltre a rappresentare un fattore di rischio per lo sviluppo di dolore cronico (Sullivan, 1995).

Come viene interpretato il dolore?

Il dolore viene interpretato non come risposta ad uno stimolo nocivo, ma a sua volta come pericolo, ed il corpo entra in allarme amplificando la tensione muscolare e peggiorando pre-esistenti condizioni doloroseCosì accade nel dolore cronico, dove il sistema di allarme è compromesso tanto da segnalare pericolo anche in caso di piccole sensazioni dolorose o neutre: un processo noto come anticipazione del dolore, in cui la paura del dolore e del (re)infortunio portano ad uno stato di iper-vigilanza e attenzione selettiva che amplificano la percezione del dolore (Ploghaus, A. et al. 1999).

Diverse sono le variabili cognitive che mediano la risposta di ogni individuo allo stimolo doloroso, l’impotenza appresa (sensazione che i propri sforzi non hanno alcun effetto sull’ambiente) ed uno stile di coping passivo correlano in modo positivo con il livello di dolore percepito e di disabilità (Samwel et al., 2006).

Il filtro cognitivo che elabora la realtà in modo soggettivo è talmente rilevante nella percezione del dolore che quando questo viene letto come prova di un ulteriore danno e non come parte di un problema stabile che può essere risolto, avremo una maggiore percezione dolorosa a prescindere dal tipo di danno (Smith WB et al. 1998).

Il dolore è influenzato anche da altri fattori, quali ad esempio lo stress psicologico. In un articolo di Saleet Jafri M. (2014) si discute ampiamente di come lo stress psicologico sia correlato all’aumento dell’attività elettrica spontanea associata ai trigger point. Lo stress psicologico è associato ad una maggiore attivazione del SNS e all’aumento di diversi tipi di ormoni. Gli autori ipotizzano che questa condizione sia a sua volta correlata con un maggior rilascio di acetilcolina e quindi all’aumento della contrazione dell’unità motoria implicata nei trigger point. (Gerwin RD et al., 2004)


Bibliografia:

  • Rigotti, Fisiopatologia del dolore post-operatorio in Day-Surgery, 2006, Comitato Ospedale senza Dolore, APSS, 28 ottobre, Trento.
  • H. Merskey and N. Bogduk, Classification of Chronic Pain, IASP Task Force on Taxonomy, Second Edition, IASP Press, Seattle, ©1994.
  • M. Saleet Jafri, Needle electromyographic evaluation of trigger point response to a psychological stressor. “Mechanisms of Myofascial Pain,” International Scholarly Research Notices, vol. 2014, Article ID 523924, 16 pages.
  • Müller J, Netter P, Relationship of subjective helplessness and pain perception after electric skin stimuli. Stress Medicine. 2000;16(2)109-115
  • Samwel HJ, Evers AW, Crul BJ, Kraaimaat FW, The role of helplessness, fear of pain, and passive pain-coping in chronic pain patients. Clin J Pain. 2006 ;22(3):245-51.
  • Smith WB, Gracely RH, Safer MA. The meaning of pain: Cancer patients’ rating and recall of pain intensity and affect. Pain, 1998; 78(2), 123-129.
  • Ploghaus, A. Tracey I, Gati J S, Clare S, Menon R, Matthews B. Dissociating Pain from Its Anticipation in the Human Brain SCIENCE. 1999; VOL 284.
  • Beck, A.T. (1976). Cognitive Therapy and the Emotional Disorders. New York: International Universities Press.
  • Sullivan MJL, Bishop SR, Pivik J. The pain catastrophizing scale: development and validation. Psychol Assess. 1995;7:524±532.
  • R.D. Gerwin, J. Dommerholt, and J.P. Shah, “An expansion of Simons’ integrated hypothesis of trigger point formation”, Current pain and headhache reports, vol. 8, n 6, pp. 468-475. 2004
  • Thorn, B. E. (2004). Cognitive Therapy For Chronic Pain: A Step-by-Step Approach. New York: Guilford Publications.

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